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A fronte di un milione e poco più preso dal Comune di Camerino molti altri Comuni dell’entroterra, più piccoli o meno danneggiati, hanno visto assegnati finanziamenti dai 5 – 6 milioni fino a 12 milioni di euro. Segno che qualche cosa non ha funzionato nella “gestione accentrata”.

Voglio partire da questa considerazione che Marco, Giovanna e Riccardo fanno nel proprio comunicato stampa per precisare alcune affermazioni che non mi sembrano corrette e quanto meno ingiuste nei riguardi soprattutto del gruppo di volontari che hanno dato la propria disponibilità a lavorare fornendo proposte tecniche all’amministrazione per la partecipazione ai fondi PNNR.

La cabina di regia, formata dall’attuale governance del terremoto, ha deciso di suddividere i circa 83 milioni delle Marche assegnati alla misura A3.1 (rigenerazione urbana) in base alla popolazione residente ed all’estensione del comune fregandosene del livello di danno di ciascun comune come logica avrebbe voluto per Fondi Europei assegnati dal Governo italiano all’area sisma 2016. 

Su 85 comuni marchigiani il comune di Camerino è ottavo per entità di finanziamento dopo Fabriano, Macerata, Ascoli, San Severino Marche, Cingoli e Corridonia (sui 140 comuni del cratere è ventesimo). 

Prima obbiezione…………………. 

Non ci sono comuni più piccoli che ne hanno avuto di più (nelle Marche si va dai circa 2 milioni di Ascoli ai 400mila di Santa Vittoria in Matenano). Inoltre, come le migliori tradizioni si è fatta una suddivisione a pioggia e non sulla base di progetti e di idee progettuali e soprattutto nessuno (dico nessuno) ha valutato la sostenibilità della spesa negli anni futuri e gli eventuali benefici. Forse il vicepresidente PASQUI, a cui vi siete appellati, avrebbe potuto fare il miracolo?

E ritorniamo alla seconda obiezione; coinvolgimento della maggioranza e non solo del cerchio magico…………..

Innanzi tutto, è documentato che almeno un membro tra i firmatari era a conoscenza di come si stava muovendo il sindaco e di quello che stava facendo essendo iscritto alla chat che i volontari tecnici usavano per scambiare informazioni con il rappresentante dell’amministrazione comunale.

Inoltre, in data 1° dicembre tutti i componenti della maggioranza hanno ricevuto dal sindaco la seguente convocazione:

“Buonasera a tutti!

Il gruppo di volontari che sta lavorando sui progetti del PNRR ha piacere di incontrare la maggioranza consiliare per presentare il lavoro svolto. Visti i tempi ristrettissimi che abbiamo, si è convenuto di incontrarsi mercoledì prossimo, giorno 1 dicembre ore 21 presso la sala consiliare.  Luca si farà carico di trasmettere il link della riunione per coloro che non potranno partecipare in presenza. Raccomando a tutti l’importanza dell’occasione anche per testimoniare la nostra riconoscenza alle persone che si sono adoperate per l’importantissimo contributo che stanno dando.

Cercate di non mancare.”

Quindi è chiaro che tutte le informazioni necessarie per condividere una decisione erano disponibili tanto è vero che Riccardo, Giovanna e Marco hanno presentato i propri punti di vista alla stampa e nelle sedi opportune.

Come in ogni consesso amministrativo, che comunque nasce per perseguire gli stessi obiettivi, ci possono essere pareri differenti sui mezzi per raggiungerli. In questo caso la maggioranza del gruppo ha deciso di presentare quello che c’era da presentare facendo delle scelte a discapito di altre. Non ci trovo nulla di strano o di sensazionale: ma il rimarcare che quanto proposto non è stato parzialmente accolto significa solo ritenersi i custodi della verità assoluta.

Alberto Polzonetti tecnico informatico volontario del gruppo di lavoro a sostegno del Comune di Camerino nella proposizione dei progetti da finanziare con il PNRR SISMA.

di Michele Serra

Gentile Michele Serra,

dal pc di casa si poteva accedere ai servizi postali o bancari tramite Otp, e ancora per poco si potrà accedere ai servizi della pubblica amministrazione tramite le classiche credenziali. Dopodiché sarà obbligatorio utilizzare lo Spid. La tanto osteggiata ma valida e facoltativa alternativa Cie (Carta di identità elettronica) per accedere ai servizi digitali è ancora in alto mare, forse perché prevede semplicemente l’inserimento della Carta nel lettore senza l’onere di acquisto del cellulare e relativo canone mensile da corrispondere all’operatore di turno. La Cie infatti consente risparmio (ahi!) e soprattutto semplicità d’uso anche per coloro che, impacciati come me, annaspano, tremano, sudano freddo al solo pensiero di posizionare il cellulare di fronte al pc, inquadrare perfettamente e per tempo il Qr code, pena l’annullamento dell’operazione e lo sconforto per l’assurdità di un’imposizione farraginosa e costosa.

Si dovrebbe altresì spiegare perché anche il più evoluto pc (che potrebbe gestire in sicurezza, affidabilità e operatività tutte le app e gli sms del mondo) necessita della doppia validazione identificativa tramite cellulare, mentre quest’ultimo, con potenzialità e sicurezza molto più limitate, può miracolosamente operare da solo. Spero mai si possa dire: ma come siamo diventati così ottusi da devolvere ai cellulari, con l’aggravante di accettare, condividere e offrire con un entusiastico “Ok mi piace”, il controllo totale, pervasivo e per di più gratuito dell’esistenza? Le applicazioni dovrebbero essere facoltative. Rendere obbligatorio e senza alternative un così delicato meccanismo di identificazione e di controllo è già un regalo irresponsabile al potere consumistico; ancora più irresponsabile predisporlo per l’eventuale despota di turno. Le dittature sono sempre in agguato e non avvengono per caso.

Gaetano Agnetta

Caro Agnetta, non entro nel dettaglio tecnico. Addentrarsi in quel mondo richiede competenze e destrezze che non ho. Già questo, però, lascia intendere che nel mondo digitale esiste un grosso problema di padronanza del linguaggio, dunque di “cittadinanza”, dunque di democrazia. La complicazione di alcuni processi digitali discrimina oggettivamente una enorme massa di persone. Vengo puntualmente redarguito, da sapientoni di vario calibro, ogni volta che avanzo dubbi sulle regole di navigazione e soprattutto sulla privacy, che è un totale colabrodo. Mi dicono, in buona sostanza, che non so usare come dovrei il Nuovo Mondo, e hanno (parzialmente) ragione: perché se devo fare una ricerca, per dire, su Spinoza o sull’Inter di Herrera, sono sicuro di farla meglio di loro; ma se devo traslare dalle mie vecchie abitudini “fisiche” al mondo digitale i tanti aspetti amministrativi e burocratici della vita quotidiana, effettivamente annaspo. Odio le app, le password (migliaia!) e tutto il resto.

Detto questo (e non si è detto poco), è l’esperienza che mi dice che sì, il controllo che il sistema digitale esercita nei nostri confronti è certamente superiore al controllo che noi esercitiamo su di lui. Essere crivellato di telefonate dei call center (come fanno ad avere il mio numero privato? Ho firmato migliaia di “non consento”), è solo la punta di un iceberg. I nostri dati viaggiano a vagoni, a container, laddove li portano i loro controllori. Siamo comprati e venduti ogni secondo della nostra vita. In cambio della inebriante comodità della connessione globale, paghiamo un prezzo ancora non quantificabile in termini di controllo sociale e di libertà personale: non ultima la libertà di non essere considerati, 24 ore su 24, consumatori a tempo pieno. Sul mio comodino giace, cospicuo e minaccioso, il formidabile saggio di Shoshana Zuboff Il capitalismo della sorveglianza, che leggo a piccole dosi per non rischiare di perdere il sonno… Lo consiglio anche a lei, lo consiglio a tutti quelli che credono di risolvere con la semplice padronanza del mezzo (il pc, lo smartphone) un problema che è prima di tutto politico. O si parla di politica, parlando del web, o non vale nemmeno la pena parlarne.

Sul Venerdì del 25 giugno 2021

Quasi alla vigilia dell’assemblea online di domenica – ridotta a un solo giorno – , c’è un nuovo dato che dovrebbe preoccupare il Pd oltre a quelli già noti. Anzi, dovrebbe sconvolgerlo. Si parla del sondaggio Swg per La7 che colloca il partito per la prima volta dietro i Cinque Stelle. Questi ultimi beneficiano di un limitato ma concreto “effetto Conte” che li strappa al loro destino in apparenza già segnato e li colloca al 17,2 per cento, ossia secondi alle spalle della Lega; nello stesso tempo il Pd sconta il disastro degli ultimi giorni e perde quasi due punti, scivolando al 16,6. Ma non basta, perché la forza che ambiva a essere il punto di equilibrio del sistema è superata anche da Fratelli d’Italia che raccoglie il 16,8.Si dirà: sono sondaggi e come tali capaci di fotografare l’istante ma non credibili già tra una settimana o anche meno. A maggior ragione adesso che le elezioni, anche quelle amministrative, sono lontane e avvolte nella nebbia. Tuttavia l’immagine di un Pd ridotto a quarto partito, prigioniero del proprio istinto auto-flagellatorio, rischia di convincere anche l’elettore più fedele che il declino è irreversibile. E questo cambia il quadro. Si può discutere a lungo su quale linea politica debba prevalere, e per la verità al momento non se ne discute affatto. Ma non si può negare che l’indebolimento elettorale, pur virtuale, rende qualsiasi scelta drammatica. Il Partito Democratico era abituato a fare o disfare alleanze essendone comunque il perno. Il primo partito del centrosinistra, quando non il partito di maggioranza relativa. L’intesa via via più stretta con i Cinque Stelle aveva come sottinteso che il partner più forte fosse quello del Nazareno. E la progressiva erosione del movimento “grillino” era un argomento a favore del patto. Come dire, vedete che i 5S si stanno trasformando in una specie di corrente esterna del Pd? In realtà le questioni erano più complicate, a cominciare dal senso dell’alleanza: uno strumento per mantenersi al governo, ma senza un’idea comune di quale futuro offrire all’Italia o almeno di come rendere più moderno il Paese. Adesso invece il nuovo segretario – è molto intensa in queste ore la pressione su Enrico Letta – dovrà fare il pane con la poca farina che ha. Il Pd sta diventando il “partner minore” di quell’intesa con i “grillini” che buona parte del gruppo dirigente vuole conservare. Ma essere piccoli dopo essere stati più grandi significa perdere anche l’illusione di decidere dove andare e come. Non solo: vuol dire essere oggetto di lazzi, persino di insulti inconcepibili fino a poco tempo fa.L’ex portavoce di Conte – cioè il “punto di riferimento dei progressisti”, secondo una nota definizione – si è preso la libertà parlare di alcuni esponenti del Pd come di “cancri” da estirpare, salvando Zingaretti e Franceschini. E la “sardina” Santori, nell’intervista a questo giornale, ha indicato il Pd come “marchio tossico”. Ora, a parte Santori che è rientrato nel suo personaggio, la verità è che Casalino pur scusandosi in un secondo tempo parla e agisce come se il Pd fosse terra di conquista per imporre, o meglio consolidare la linea della fusione di fatto con 5S e Leu. Se sarà Letta il prescelto per la segreteria avrà da lavorare nell’intento di imporre una rotta riformatrice. Che a questo punto coincide con un’adesione piena, dunque priva di ambiguità, a Draghi e al suo governo. Lasciando per ora sullo sfondo la questione dei compagni di strada.

L’importanza di chiamarsi Matteo nella politica italiana sembra segnare un destino comune. Matteo Renzi e Matteo Salvini diventano ogni giorno più simili. Entrambi hanno avuto una popolarità folle ed entrambi l’hanno sprecata in un battito d’ali. Matteo Salvini ieri ha superato se stesso facendo credere che con una fabbrica di Monza produrrebbe vaccino Sputnik in tempi record con l’aiuto dei russi e, sapendo della vicinanza affettiva del segretario della Lega con lo zar Putin, per qualche ora gli italiani hanno seguito la vicenda con trepidante curiosità. Certo, dopo che la Regione Lombardia rispondeva alla notizia affermando di essere completamente estranea ai fatti, così come l’Unione Europea testimoniava di non aver alcun programma Sputnik in corso, è sorto qualche dubbio sulla veridicità della vicenda che si indirizza ora sempre più verso faccende oscure tra il leader del Cremlino e la Lega. Si faccia o no il vaccino, Matteo Salvini si è lanciato a gran voce a testimoniare lo scoop come cosa sicura, facendo balzare alla mia memoria qualcun altro che chiacchierava e prometteva con la stessa disinvoltura. Ho conosciuto Matteo Renzi che aveva poco più di trent’anni, era presidente della provincia di Firenze e mi raccontò che stava organizzando una mostra di carrozze antiche, idea interessante se si fosse svolta a Tromsø in Norvegia, ma a Firenze si perdeva un tantino tra le magnificenze rinascimentali. Appena eletto sindaco, lanciò il progetto di rifare l’aeroporto di Firenze, città giusto al centro tra Roma e Milano e a pochi chilometri da Pisa e promise ai fiorentini un gigantesco nuovo stadio. Come è ovvio, le opere non furono mai realizzate perché insensate. Uno dei topos preferiti di Salvini è invece annunciare con una certa cadenza il ponte sullo stretto di Messina. Il momento magico, Renzi lo raggiunse facendo rimbalzare sui quotidiani del mondo intero la notizia della sua eccezionale scoperta artistica. La “Battaglia di Anghiari” di Leonardo Da Vinci, secondo l’ex sindaco di Firenze, era celata sotto l’affresco di Giorgio Vasari nel Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio. Si spinse così in là da trapanare l’opera del Vasari e i suoi “esperti” dichiararono di aver riconosciuto il famoso “nero” usato per dipingere la Gioconda. Un’avventura a metà tra Dan Brown e Indiana Jones. Com’è che poi non si seppe più nulla di cotanta scoperta? Perché era una bufala, ma era un’idea tanto bella che non si poteva che gridarla ai quattro venti, poco importava che non fosse vera. Così come la fabbrica di Monza che salverebbe gli italiani dal Covid in quattro e quattr’otto. Forse invidioso delle amicizie potenti e imbarazzanti di Salvini, come con Vladimir Putin, Matteo Renzi è già volato un paio di volte in Arabia Saudita, a elogiare personaggi inguaiati con la scomparsa di giornalisti di opposizione. Anche in Russia chi contesta ogni tanto sparisce. Entrambi i segretari hanno raggiunto percentuali da record alle elezioni europee, Salvini il 34 per cento e Renzi addirittura quasi il 41. Pensarci oggi, sembra incredibile. Tutti e due, ancora quarantenni, vantano una pagina Wikipedia più lunga di quella di Giuseppe Mazzini. Bisogna riconoscere loro una certa genialità. Purtroppo sia uno che l’altro, quando è stato il momento di governare, hanno infilato un disastro dopo l’altro, culminando nel caso di Renzi con il referendum suicida sulla Costituzione, nel caso di Salvini causando il crollo del governo sicuro di stravincere alle immediate elezioni, che poi non ci sono mai state. Sono due facce dello stesso populismo. Matteo Renzi ha raggiunto il successo grazie a una brillante parlantina e solo dopo qualche anno i suoi interventi sono diventati insopportabili sproloqui quotidiani che gli hanno causato, con strabiliante rapidità, la discesa dal 41 per cento al 2 virgola qualcosa. La gente oramai ha scoperto i suoi bluff e non gli crede più. Gli elettori della Lega, anche se con qualche dubbio, ancora seguono il loro leader. Ma per quanto?

In uno dei telegiornali nei quali ha residenza fissa, e dai quali sbuca e risbuca come il cucù dall’orologio, ecco il Salvini che dice di «avere personalmente preso contatto con istituzioni internazionali» per risolvere la faccenda dei vaccini.

Mi sono fatto una domanda logica, dunque del tutto fuori contesto in questo Paese: ma a che titolo avrà preso contatto, il Salvini, con le suddette istituzioni internazionali? È ministro della Sanità? Sottosegretario alle punture? Membro del governo? Nel frattempo il Berlusconi assicura che il vaccino russo «funziona benissimo», e non ne dubitiamo, anzi siamo già in fila cantando Ociciornia, pur di elemosinarne una dose. Ma anche qui: a che titolo? È, il Berlusca, un immunologo? Un informatore farmaceutico? Ha sposato, tra le tante, la nipote di Madame Curie? È ambasciatore onorario di tutte le Russie? Il problema è che tutti cercano di rendersi utili, e non è il caso. La confusione è già alle stelle, da mesi sentiamo immunologi, statistici, protettori civili, commissari straordinari e ordinari, primari, ognuno che affastella dati e suggerimenti. Conosciamo più etichette di vaccini che di Nebbiolo, sappiamo come si scrive Pfizer e quante finestre ci sono sulla facciata della sede di AstraZeneca. Festeggeremo compatti l’arrivo delle prime dosi di Sputnik. Imminenti le prime degustazioni di vaccini nelle sagre estive. Ma è troppo chiedere che, nel frattempo, i politici non direttamente coinvolti si limitino a pronunciare qualche bella frase fatta, tipo “bisogna vaccinare tutti più in fretta possibile”? È un rumore di fondo. Non disturba. Passa e va.